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Se il buon giorno si vede dal mattino, sulla ‘messa a terra’ del Pnrr in Veneto c’è molto da preoccuparsi. Il primo fatto grave che si è registrato in aula è stata infatti la bocciatura, senza volontà di condivisione, della nostra risoluzione che evidenziava tre priorità: questione energetica, filiere industriali e agroalimentare.

Indicando nel primo ambito l’ottenimento dei fondi previsti per rinnovabili e batterie elettriche, puntando su fotovoltaico, eolico, biometano e sulla diffusione delle comunità energetiche, nell’ottica della sostenibilità e per raggiungere la massima autonomia possibile. Per l’industria, dato che il governo ha già inserito nel Piano di Ripresa le sei grandi filiere da finanziare (design-moda-arredo, automotive, microelettronica-semiconduttori, metalli-elettromeccanica, chimica-farmaceutica, agroindustria) abbiamo sottolineato che dovremmo costruire progetti sul territorio in quelle direttrici, così da portare a casa le risorse. Lo stesso vale per l’agroalimentare, un settore che sta soffrendo enormemente, ma dove lo spazio per intervenire c’è. La destinazione nazionale dei cinque miliardi è indirizzata all’agrisolare, all’innovazione e meccanizzazione nel settore agricolo e alimentare, agli investimenti nel settore irriguo. Ed è lì che è prioritario muoversi.

Abbiamo ribadito come il Pnrr non possa non tenere conto della crisi energetica ed economica legata alla guerra in Ucraina le cui conseguenze non si esauriranno a breve. Da qui l’invito a rivedere priorità e progetti strategici della Giunta, integrandoli affinché il Piano possa andare nella direzione giusta, per intercettare le risorse dove ci sono. Insomma, cose chiare, coerenti con una visione di ripresa nazionale ed europea. Cose difficilmente contestabili. Eppure, non solo c’è stata la bocciatura del nostro documento, per evidente spirito di ripicca politica.

Il secondo fatto grave sono state le parole del capogruppo leghista, Pan. Parole fuori dal mondo. Di messa in discussione (altro che messa a terra) della necessità della transizione energetica. Tutto questo mentre la vicenda russo-ucraina rende evidente che se ci fossimo mossi prima, pretendendo un piano europeo, probabilmente oggi non saremmo dipendenti dal gas russo o di qualsiasi altro Paese.

Evidentemente imprese, sindacati e cittadini hanno già da tempo compreso, più di certi esponenti politici, l’importanza della transizione energetica e pretendono indirizzi e risposte chiare. La crisi, infatti, sta colpendo in modo più forte chi è meno autonomo da un punto di vista energetico e chi ha investito meno nella transizione ecologica. È preoccupante che ci sia chi non ha compreso la necessità di accelerare in questa direzione. Ed è tempo di stringere realmente un’alleanza tra chi produce, chi consuma e la politica, in modo che filiere strategiche come agricoltura e manifattura siano messe nelle condizioni di rendere redditizia la loro attività e che sostenibilità economica ed ambientale viaggino di pari passo.