Salta al contenuto principale

“La salute mentale non rappresenta una priorità per la Regione Veneto. A dirlo sono i numeri. La pandemia ha aggravato le problematiche e sono aumentati i casi di disagio psichico senza che siano state prese contromisure efficaci. Anzi, specie nella prima e seconda ondata, molti servizi sono stati sospesi. Lo denunciamo da mesi, insieme alle associazioni che si occupano di queste fragilità e a tanti familiari, ma finora gli appelli sono sempre caduti nel vuoto”. Ad andare all’attacco è la vicepresidente della commissione Sanità a Palazzo Ferro Fini, la consigliera PD Anna Maria Bigon con i colleghi Francesca Zottis, Jonatan Montanariello e Andrea Zanoni, rilanciando le preoccupazioni e le richieste del Covesap (Coordinamento veneto per la sanità pubblica) alla vigilia dell’assemblea regionale in programma domani e focalizzata proprio sulla salute mentale.

“I dati dovrebbero far riflettere e agire di conseguenza: la nostra Regione destina alla salute mentale il 2,25% del Fondo socio sanitario, meno della metà di quanto raccomandato dalle linee guida nazionali (5%) e meno della media italiana, 3,05%, con una spesa procapite superiore solo a quella della Campania, tra strutture territoriali e servizi ospedalieri ridotti e personale che manca e che non viene rimpiazzato. Questo nonostante l’impennata, ad esempio, dei casi di ansia e depressione tra i più giovani, effetto collaterale della pandemia. A maggio 2021 abbiamo presentato una mozione con cui chiedevamo di rilanciare il modello della psichiatria di comunità, di predisporre un nuovo Progetto obiettivo coinvolgendo associazioni e realtà territoriali, e di favorire la creazione di servizi dedicati all’età evolutiva e l’adolescenza all’interno dei Dipartimenti di salute mentale. A distanza di otto mesi non è ancora approdata in aula, un segnale di quanto il tema sia tenuto in scarsa considerazione. Lo stesso vale per le nostre richieste, regolarmente bocciate, come realizzare reparti ospedalieri per ragazzi e giovani psichiatrici evitando di condividere gli stessi spazi con adulti che hanno altri problemi o di destinare alla salute mentale i risparmi di spesa sanitaria ottenuti in sede di erogazione dei Lea. Far finta di non vedere – aggiungono in chiusura – non è la soluzione”.